AGAPE – 25 anni di impegno per lanciare #ilCuoreOltreOgniOstacolo

2° Puntata – Brasile 1999: UNA SECONDA OPPORTUNITÀ

“Una volta arrivato in Brasile, conobbi Padre Renato Chiera, sacerdote italiano che a Nova Iguaçu si occupava di aiutare bambini e bambine costretti allo spaccio e alla prostituzione. Le loro madri, infatti, versavano in condizioni di tale povertà da non avere altre fonti per sfamare i loro figli: il numero di minori quotidianamente esposti alla delinquenza e alle persecuzioni degli “squadroni della morte” era in continuo aumento e decisi di intervenire per supportare l’opera di Padre Renato.

I bambini, infatti, potevano già contare su alcune strutture di prima accoglienza gestite da coppie locali, ma tali costruzioni erano diventate insufficienti. Non c’era più tempo e cominciammo a costruire la casa di accoglienza da zero, che prese il nome di Casa AGAPE. Devo ammettere che ancora oggi ricordo le difficoltà di realizzazione della struttura: il terreno era scosceso e impervio e fu necessario l’aiuto dei ragazzi coinvolti nel progetto per terminare l’opera in tempi brevi. Per incentivarli a stare lontani dalla strada, ricevevano ogni settimana una piccola somma di denaro come retribuzione per il lavoro svolto. Normalmente la quota arrivava a Padre Renato, che si occupava poi di dividerla tra i giovani impiegati per tutti i giorni della settimana tranne il sabato, quando ero invece io a darli direttamente.

Tuttavia, molto spesso accadeva che il lunedì i ragazzi non si presentassero a lavorare, distrutti dalle droghe usate nel fine settimana. Padre Renato, infuriato a causa dell’ennesima assenza, incaricò il capo operaio del cantiere di licenziarli: proprio questa decisione mi mise in pericolo. Infatti, i ragazzi, convinti che fossi stato io ad averli voluti mandare via, mi raggiunsero alla betoniera dove lavoravo e uno di loro prese il grande coltello che portavano sempre con sé per tagliare i sacchi di cemento e mi minacciò. Non volendo parlare, lo guardai negli occhi. In quel momento mi passò tutta la vita davanti, e dopo qualche istante vidi il ragazzo affondare il coltello nella sabbia. Ero salvo. Venni a sapere, qualche giorno dopo, che furono costretti a fuggire dalla città, minacciati da chi aveva dato loro la droga a causa del mancato pagamento delle dosi.

Qualche giorno dopo, infatti, il capocantiere mi raggiunse per dirmi che i ragazzi avevano bisogno di soldi per sistemare la cucina della loro nuova casa e riparare la bombola del gas. Nonostante quanto accaduto alla betoniera, scelsi di dare loro il mio sostegno e aiutarli affinché vivessero in condizioni dignitose. Fui felice di vederli qualche giorno dopo: mi abbracciarono pieni di affetto e venni ringraziato con sincerità.”

Mario Verardi