La Forza delle Donne

La forza delle donne

Ancora c’è molta strada da fare per i diritti delle donne, ma, grazie all’associazione CÁ-PAZ, nel quartiere di Machava, esiste un punto di riferimento in più.

CÁ-PAZ nasce dall’esperienza internazionale di una psicologa mozambicana, Marcelina Chai Chai, che nel 2007 fonda l’Associazione per l’Assistenza Psicosociale e l’Empowerment alle Vittime di Violenza, che mira al rafforzamento, in primo luogo, delle donne, ma anche di tutta la comunità in cui risiedono. L’associazione opera in sei quartieri periferici di Maputo (Vale do Infulene, Acordos de Lusaka, Trevo, Tsalala, Machava Jota, Machava Sede) in Mozambico e la sua attività era già iniziata nel giugno del 2004, con l’introduzione dell’Intervento Psicosociale Comunitario (IPC): questa tecnica utilizza un approccio olistico e multisettoriale che considera la salute come uno stato di benessere che coinvolge diversi aspetti della vita di una persona, quali fisici, psicologici, sociali, economici e culturali.

 

Dall’esperienza acquisita nell’applicazione dell’IPC, questo approccio è sfociato in un modello formale denominato “Buon Vicino” (Bom Vizinho), con l’obiettivo di trasformare i membri della comunità in agenti di cambiamento, responsabili della soluzione dei problemi sociali del quartiere e del miglioramento delle condizioni di vita. Il “Buon Vicino” è un membro della comunità, che segue un processo di formazione per acquisire le competenze di gestione, controllo e prevenzione di diversi problemi e situazioni di violenza, salute e povertà che si verificano nella loro comunità. L’approccio è volto a promuovere l’aiuto reciproco e la solidarietà tra i membri della comunità, guidato dalle donne che si prendono cura del loro quartiere e gestiscono sistemi di risparmio a credito rotativo sostenibili per sollevare se stesse e le loro famiglie dalla povertà.

 

Con 18 anni di esperienza, più di 40 volontari sul campo, oltre 5000 persone assistite, CÁ-PAZ interviene in tutti gli aspetti che contribuiscono al benessere della persona, guardando l’individuo all’interno del suo contesto familiare e comunitario: ogni giorno l’associazione contribuisce al rafforzamento e all’indipendenza delle donne della comunità attraverso lo strumento del sostegno finanziario, promuove la conoscenza e l’applicazione delle leggi esistenti contro la violenza di genere e crea opportunità per l’effettivo empowerment di donne e ragazze: questo modello si è dimostrato efficace nel ridurre l’incidenza della violenza nelle comunità e nel creare una rete di sostegno per le donne vittime di violenza familiare.

 

Dal 2019, AGAPE e il suo partner, PASSI Società Cooperativa, fanno arrivare in Mozambico volontari attraverso il programma del governo italiano di Servizio Civile Universale per lavorare nelle varie organizzazioni con cui collabora. Una di queste è CÁ-PAZ, che quest’anno si avvale del supporto di 5 volontarie, Beatrice, Camila, Giulia, Lavinia e Serena. Le ragazze partecipano ogni settimana a visite di sostegno psicosociale nelle comunità, nella quali, insieme agli attivisti dell’associazione, indirizzano le vittime ai servizi pubblici responsabili per ogni tipo di problema affrontato (ad esempio polizia, servizi legali, assistenza sociale, sistema sanitario). Nel mese di novembre 2022 hanno partecipato a marce e incontri comunitari nell’ambito dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere che si tengono ogni anno, in cui, oltre a CÁ-PAZ, hanno partecipato altre organizzazioni che si occupano di diritti di genere.

 

Attualmente, stanno lavorando su più fronti: da una parte a supporto delle attività di un progetto di empowerment femminile e di generazione di reddito finanziato dall’Agenzia Catalana di Cooperazione allo Sviluppo e, dall’altra, stanno lavorando alla pianificazione e all’elaborazione di materiali istituzionali per avviare una raccolta fondi mirata alle imprese della zona. Nelle prossime settimane inizieranno anche dei laboratori presso la scuola secondaria di Machava, il quartiere in cui ha sede l’organizzazione, per un contatto più stretto con le giovani generazioni, al fine di prevenire le dinamiche violente attraverso incontri settimanali di divulgazione su tematiche quali i ruoli di genere e la violenza di genere.

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Un anno di Costruire Con La Musica

Un anno di Costruire Con La Musica

Il progetto Costruire Con La Musica, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, ha concluso il 17 maggio il suo primo anno di attività con un bilancio che possiamo dire positivo. I primi sei mesi sono serviti per creare, insieme a tutti i partner (Ministero della Cultura e del Turismo del Mozambico, AGAPE, Comune di Milano, Milano Musica e Diapason Progetti Musicali), tutti i flussi di lavoro per i prossimi tre anni, e ora le attività stanno procedendo. Non sono mancati gli imprevisti, come il ciclone che a febbraio e marzo ha colpito le province di Inhambane e Zambézia, proprio due delle tre, insieme a Nampula, che saranno al centro del lavoro del progetto.

 

COSA È STATO FATTO QUEST’ANNO

 

  1. VISITE ALLE PROVINCE: la responsabile del progetto e il funzionario amministrativo, insieme ai rappresentanti di MICULTUR, hanno avuto l’opportunità di visitare più volte le province di Inhambane, Zambézia e Nampula negli ultimi mesi per organizzare le attività del Cluster 3 (OCCUPAZIONE E IMPRENDITORIALITÀ). Hanno avuto la possibilità di incontrare i Direttori Provinciali della Cultura e del Turismo e i Direttori delle Case Provinciali della Cultura, con i quali hanno stabilito una forte intesa e un grande piano di lavoro. Inoltre, i referenti del Comune di Milano hanno visitato le province nel luglio 2022 (Inhambane) e nel febbraio 2023 (Zambézia) e hanno potuto vedere le Case della Cultura e parlare con tutti i loro rappresentanti;
  2. CONSEGNA DEI MATERIALI DEL PROGETTO: nei mesi di aprile e maggio di quest’anno, la Ministra della Cultura e del Turismo, Eldevina Materula, ha consegnato alle Case Provinciali della Cultura alcune delle attrezzature previste dal progetto. Si tratta di stampanti, macchine fotografiche, videocamere, telefoni e proiettori, materiali importanti per la realizzazione di attività di formazione, comunicazione e supporto agli artisti e al settore culturale nei prossimi anni;
  3. REVISIONE DEL FUNDAC: ad aprile è stato organizzato un ritiro che ha coinvolto diversi attori del FONDO DI SVILUPPO ARTISTICO E CULTURALE e di altre istituzioni culturali pubbliche con l’obiettivo di analizzare il funzionamento attuale del FUNDAC e definire i termini di riferimento per la ristrutturazione, il rafforzamento e la diversificazione degli strumenti finanziari e degli incentivi a disposizione del settore. Durante i giorni del ritiro, è stato inoltre possibile ascoltare una serie di interventi sui sistemi di finanziamento pubblico della cultura in Italia e in Brasile, che hanno fornito un’importante riflessione per rivedere la meccanica in Mozambico;
  4. PIATTAFORMA INTEGRATA MULTIFUNZIONE INICC: Il progetto prevedeva inizialmente la creazione di una piattaforma integrata da assegnare all’Istituto Nazionale per le Industrie Culturali e Creative; dopo un’analisi della piattaforma sviluppata direttamente dall’INICC, si è deciso di intervenire su questa stessa piattaforma, integrandola con le funzioni previste dal progetto Costruire Con La Musica. Sono in corso di definizione i termini di riferimento per l’assunzione di consulenti che, attraverso un processo partecipativo, possano migliorare il funzionamento dell’attuale piattaforma dell’INICC in modo da renderla più rispondente alle esigenze degli utenti finali;
  5. CURRICULUM DEI CORSI DI LIVELLO MEDIO: dall’inizio dell’anno, gli esperti italiani e l’équipe della Scuola Nazionale di Musica stanno lavorando per trovare la strategia migliore per sviluppare curricula efficaci (Musicoterapia, Costruzione e manutenzione degli strumenti musicali tradizionali mozambicani, Manutenzione degli strumenti classici e Ingegneria del suono) adatti al contesto mozambicano.

 

PROSSIMI PASSI

 

  1. RAFFORZAMENTO ISTITUZIONALE: a luglio, dal 19 al 29, inizierà il primo ciclo di formazione per i funzionari del Ministero della Cultura e del Turismo e delle sue istituzioni dipendenti e per i rappresentanti delle province coinvolte nel progetto. I corsi di formazione, che coinvolgeranno docenti mozambicani e italiani in uno scambio continuo, riguarderanno la gestione delle industrie culturali e creative, la valorizzazione, la gestione e l’utilizzo del patrimonio pubblico, la comunicazione e il fundraising;
  2. FORMAZIONE PROFESSIONALE: nei prossimi mesi, Luka Mukhavele, Pedro Sitoe e il corpo docente della Scuola Nazionale di Musica saranno impegnati nello sviluppo del programma di studi per il corso di scuola secondaria sulla costruzione e manutenzione degli strumenti musicali tradizionali mozambicani. In questo contesto, dal 3 al 14 luglio, i professori Sitoe e Mukhavele hanno condotto un corso di formazione iniziale su questo tema, con l’obiettivo di formare i potenziali futuri insegnanti del corso. Alla formazione parteciperanno costruttori professionisti provenienti dalla città di Maputo, dalla provincia di Maputo, da Inhambane, Zambézia e Nampula;
  3. OCCUPAZIONE E IMPRENDITORIALITÀ: a luglio inizieranno i lavori di ristrutturazione e allestimento degli spazi delle Case della Cultura provinciali che ospiteranno gli incubatori di imprese culturali e creative e gli studi di registrazione.

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Un Mulungo a Mafalala

Un Mulungo a Mafalala

Alessandro è un volontario di Servizio Civile in Mozambico che, nei 10 mesi di progetto, ha lavorato al fianco all’Associazione Machaka e ai suoi bambini e ragazzi.

Quindici minuti di cammino. Dieci minuti di attesa. Trenta minuti di autobus “Xipamanine-Malhazine”. Arrivo in una via lunga e stretta. Carretti traballanti carichi di cocchi trainati a mano sussultano sul ciottolato sconnesso, donne che vendono “Bajias” e “Rosquinhas” (ciambelle) appena fritte al lato della strada, ragazzi appoggiati a un muretto chiacchierano all’ombra di una tettoia in lamiera, le macchine rallentano prima di un dosso posto subito prima dell’uscita di un campetto da calcio.

 

“Mulungu mulungu!” una parola che continuo a sentire in sottofondo nelle prime settimane in cui mi reco a lavoro, non sempre mi sembra essere direttamente rivolta a me, è quasi un’ esclamazione. L’uomo bianco è arrivato a Mafalala, uno dei quartieri poveri della città di Maputo in cui non ci sono palazzi o edifici nuovi, tutto è costruito in modo che “stia in piedi”, in modo appena sufficiente a far sì che quella cosa, che sia una bancarella, un fornello per cucinare, funzioni. Non ci sono lampioni, non c’è asfalto, non ci sono cassette postali, non ci sono parcheggi per le auto, non ci sono alberi, non ci sono strisce pedonali, non ci sono edicole. In questa strada stretta, però, c’è un sarto che dalle 8 e mezza del mattino, tutti i giorni a parte la domenica, è seduto ad un tavolino con una macchina da cucire nera, al suo fianco ha una pila di vestiti alta all’incirca quanto la sua sedia. A pochi passi di distanza, sulla sinistra, c’è un piccolo patio ed una scritta su una delle pareti che lo circonda: Machaka.

 

Machaka nella lingua tradizionale parlata in Mozambico, lo changana, significa “famiglia”. Dopo qualche giorno dal mio arrivo ho scoperto che anche “Mulungu” è una parola in changana e che letteralmente significa “persona bianca”. Era quindi una vera e propria esclamazione, forse un saluto, oppure un vero e proprio gioco che mi ha ricordato, con un po’ di nostalgia, gli anni del caro e vecchio “Twingo gialla!”, un gioco a cui giocavamo sempre da bambini per ingannare il tempo durante le gita in pullman. Si basava unicamente sulla regola: se vedi una Twingo gialla devi dire “Twingo gialla!”, il primo che lo dice guadagna un punto. Chi fa più punti entro la fine della giornata vince”.

 

Che cos’è Machaka? È stata la prima domanda che ho rivolto a João quando l’ho conosciuto. Machaka è un’associazione culturale che ha come obiettivo la promozione della cultura nel quartiere di Mafalala, mi ha raccontato la sua storia, com’è nata l’associazione, quello che fanno, i loro obiettivi, i loro successi e le loro difficoltà. Ho fatto molte domande e ho ricevuto molte risposte. Dopo sette mesi passati qui, però, mi rendo conto che erano tutte risposte parziali, non perché ci fosse qualcosa che non andava in quello che mi è stato raccontato, ma perché le parole, almeno le mie, tolgono un po’ l’importanza a certe cose.

 

Come posso raccontare quello che ho vissuto e che sto vivendo qui senza tralasciare niente? Penso che in parte sia inevitabile, perché questa esperienza, per me, sarà stata più grande delle singole parti che l’hanno composta. Quando guardo João, Horácio e Omar, vedo dei ragazzi, giovani, allegri, con la voglia di fare del volontariato, di suonare e di ballare senza sosta. Alcune volte li vedo anche nelle loro “giornate no”, con il sonno negli occhi, la stanchezza del caldo africano, con la voglia di “descanso” (riposare) e di stare da soli con i propri pensieri. Ragazzi come me o come tanti altri che ho conosciuto in Italia. Se invece chiudo gli occhi e provo a pensarci vedo un’altra cosa, c’è in gioco molto di più: Machaka nasce in una piccola piazzetta, da una deviazione di una via stretta e lunga, che prosegue per centinaia di metri. Poco più avanti c’è una farmacia, ci sono due chioschi che preparano panini, uno che vende pneumatici, due bancarelle che vendono frutta e verdura, c’è un campo da calcio. Da questo punto in avanti la via cambia, Machaka sarà all’incirca distante 500 metri.

 

“Mulungo, ti chiedo 20 meticais.” “Mulungo, tutto bene?” “Mulungo, vuoi comprare qualcosa?”. I volti delle persone sono più scavati, gli occhi sono spenti, corpi di ragazzi giacciono a terra con la schiena appoggiata a una lamiera che fa da recinto alla casa di qualcuno, dormono e le persone gli passano intorno. Un ragazzo con la metà dei miei anni mi aiuta a raccogliere una bottiglia di vetro che vogliamo usare per realizzare un’opera d’arte insieme ai bambini del quartiere. Ha il corpo magro e lo sguardo di chi non dorme da un bel po’, mi domanda perché stessi raccogliendo le bottiglie e perché lo stessi facendo proprio in quella via. Gli spiego che sono un volontario, che stiamo realizzando una tartaruga fatta di bottiglie di vetro e lo invito a venirci a conoscere a Machaka.


Mi risponde che sarebbe venuto e, abbandonando il mio sguardo, si allontana. L’uso di droga, qualunque tipo di droga, è la piaga di questo quartiere. Entra nelle case e cattura figli, sorelle, amici privandoli di tutto quello che hanno. Li svuota. Questo è quello che ho visto in questa strada stretta e lunga: “Rua da Goa”, chiamata anche “Boca de Fumo”. É quello che ho letto in “Trainspotting” o sentito nei racconti dei miei genitori sulla piaga dell’eroina in Italia negli anni ’80, persone svuotate. “Qui, c’è in gioco molto di più”, mi ripeto nella testa. Non è “solo” musica, non è “solo” danza, non è “solo” teatro, non stiamo “solo” insegnando inglese o matematica, non è “solo” un dopo scuola per studiare di più e alzare il voto di un compito in classe.

 

Il futuro di Mafalala dipende dai bambini e i bambini dipendono dal futuro di questo quartiere. Ma non può esserci futuro senza la possibilità di scegliere. E quand’è che posso scegliere? Quando davanti a molteplici possibilità tutte ugualmente accessibili manifesto la mia individualità e con un gesto libero decido quale vita, tra quelle possibili, voglio vivere. Machaka fa proprio questo, rende liberi i bambini di poter scegliere, di potersi appassionare, di poter imparare, di poter sbagliare, di costruirsi un’alternativa: la loro.

Alessandro Aloi

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